A proposito di Mino Bergamo
In occasione del convegno Michel de Certeau. Le voyage de l’oeuvre, tenutosi al Centro Sevres di Parigi nel marzo del 2016, Stefano Pepe era stato invitato ad intervenire su Mino Bergamo, figura di studioso della mistica moderna vicino all’approccio certiano, amico e allievo dell’autore di Fabula mistica. Pubblichiamo qui di seguito il suo intervento tradotto in italiano.
In memoria di Mino Bergamo
Stefano Pepe
Esprimo la mia gioia nel ricordare Mino Bergamo, un brillante allievo italiano di Michel de Certeau.
Sono stato subito catturato dal rigore e dall’eleganza di Mino Bergamo nel leggere i testi degli autori mistici del XVII secolo e per la sua magistrale capacità di analisi. Ho cercato di riflettere sui suoi scritti e di ammirare la bellezza di uno stile così attento, colto ed intelligente.
Espongo qui una mia lettura delle opere di Bergamo alla luce del modo di procedere della spiritualità ignaziana, contenuta in alcuni punti degli Esercizi Spirituali.
Mi è parso di cogliere un elemento comune della spiritualità ignaziana, ad iniziare da Pierre Favre fino all’oggi del pontificato di Francesco: fare esperienza della croce di Cristo come puro amore, fino alla possibile dannazione, come passaggio dell’indifferenza ignaziana. L’essere ritenuti folli e venire disprezzati per arrivare a vivere nella propria anima l’unione con lo Sposo; scelta della povertà come uscita da sé e dalla propria autoreferenzialità e trovare Dio in tutte le cose.
Mino Bergamo, cartografo dello spazio dell’anima, condivide con Certeau un oggetto comune di studio: Surin. Mino era un giovane storico veneziano, nato nel 1956, di un’intelligenza brillante, francofono e gran conoscitore della cultura francese. Appassionato agli scritti mistici, e avendo studiato soprattutto gli autori del XVII secolo francese, ha seguito dei seminari e degli incontri di Michel de Certeau al Centro di Semiotica e Linguistica di Urbino, in particolare il convegno organizzato da Certeau nel luglio 1984 sugli approcci semiotici del discorso mistico. Ha anche seguito il suo insegnamento all’EHESS nel 1984 e 1985. La sua tesi su “La scienza dei santi” preparata con Louis Marin all’EHESS fu sostenuta il 15 marzo 1985; membro della commissione, Certeau giudicò «questa ricerca notevole per il suo rigore e le sue esigenze metodologiche»[1]. Le sue opere sono state pubblicate in italiano e francese [2].
Purtroppo Mino Bergamo è scomparso in un tragico incidente subacqueo nei mari dell’Indonesia il 3 maggio 1991. Accanto a Certeau, onoriamo la memoria di Mino, che gli specialisti pensavano pronto per un grande avvenire nella storia della letteratura mistica. A questo proposito Jacques Le Brun afferma nella prefazione all’edizione francese della Scienza dei santi: «Homme du passage entre les cultures et les langues, les disciplines et les milieux scientifiques, il mettait dans l’étude de la mystique une passion brûlante et tranchante qui nous a toujours saisis»[3].
Bergamo stesso ci offre il suo metodo di lavoro in relazione all’analisi dei testi. Egli afferma che, come con un corpo umano, è necessario praticare un’ “auscultazione minuziosa del respiro del testo, di afferrare le varie immagini della struttura dell’anima, nel rumore quasi impercettibile del loro affioramento”. In un articolo dell’aprile 1991 egli afferma: «Anziché leggere l’opera di un autore in funzione della sua vita, proviamo ad esempio a interpretare la sua vita in funzione della sua opera. Anziché affannarci a reperire le tracce lasciate dall’esperienza nel mondo del testo, tentiamo piuttosto di isolare gli effetti prodotti dal testo sul mondo dell’esperienza. Anziché domandarci quale realtà sia segretamente rappresentata nel contenuto di un’opera, chiediamoci quale realtà la dinamica significante di quest’opera abbia la funzione di trasformare. Cerchiamo, in una parola, di comprendere quel che un autore fa con un testo, piuttosto che stabilire quello che egli rappresenta per suo tramite. La questione del rapporto tra biografia e l’opera, fra la scrittura e la vita, ci apparirà allora sotto una luce profondamente nuova. Lungi dal rinviare ad una concezione mimetica, essa si inscriverà nel quadro di una concezione pragmatica, o più esattamente strategica, del testo letterario»[4].
Prendendo ora in esame gli Esercizi Spirituali vediamo cosa Ignazio di Loyola fa con il suo testo. Come ci ricorda Certeau, gli Esercizi sono delle pratiche relative ad un’esperienza che, appunto, è da farsi; storia silenziosa delle relazioni tra Dio e i due dialoganti (chi dà gli Esercizi e l’esercitante). El modo de proceder di questo testo e della spiritualità gesuita nasce dal confronto di un’amicizia, si offre come spazio del desiderio, a partire da un non-luogo che è anche al di là dei tempi: il Principio e Fondamento [5].
Il desiderio che è orientato al fine di lodare, onorare e servire Dio, e salvare la propria anima, si deve avvalere di ciò che è necessario e allontanarsi da ciò che ostacola. Il desiderio che parte dal Principio si dispiega in un punto zero, regione selvaggia, dove è necessario abbandonarsi ad ascoltare il rumore del mare per entrare in sé stessi e partire per il viaggio della riforma interiore. Il mezzo fondamentale in questo viaggio è ciò che chiamiamo “Indifferenza”: «è necessario renderci indifferenti nei riguardi di tutti gli oggetti creati».
Salute, malattia, ricchezze, povertà, onore, disprezzo, una vita lunga o una vita corta sono, eventualmente, possibilità da prevedere nel percorso, il quale richiede di confrontare il proprio desiderio con una volontà che è sempre Altra, inafferrabile ed infinita. L’esperienza spirituale ignaziana si fonda su una soglia che è disponibilità a diventare altro per opera del totalmente Altro. È un entre-deux da cui è necessario passare per iniziare il cammino: spazio aperto nella fessura dell’io per sprigionare il desiderio, spazio della morte e spazio della parola. Le procedure che da esso si dispiegano e i luoghi che si attraversano partono innanzitutto dall’apertura al confronto tra due volontà, quella estranea di Dio e quella familiare dell’uomo, per Certeau entrambe “inquietanti”. Entrambe emergono dalla profondità dello squarcio aperto e vanno conosciute. Conoscere ciò che voglio, Id quid volo, è propedeutico per comprendere gli oggetti, i luoghi e praticare lo scarto lungo il cammino. Da qui il senso della traiettoria si snoda dalla relazione di consolazioni e desolazioni, arte della ruse, per arrivare al fine. In questo modo, in ogni luogo di sosta si fa posto ad un altro, fino a far sì che si pratichi uno stile spirituale, proprio del modo di procedere fin qui esposto. È un fare continuamente spazio all’altro perché emerga il senso del cammino intrapreso. Dunque, è esigenza continua che l’altro non manchi perché il testo della narrazione interiore abbia un senso. L’altro è colui senza il quale non si può dare esperienza spirituale. Nel caso della spiritualità ignaziana l’esperienza spirituale si dà nell’arte dell’accompagnamento, relazione tra due amici nel Signore, che creano i presupposti perché la volontà divina possa essere accolta.
Se prendiamo in considerazione alcuni luoghi della spiritualità ignaziana, notiamo come già da Ignazio la riforma interiore si dà nel fare posto ad un altro. Sia a Manresa che al Cardoner, Ignazio è abitato, in senso opposto, da un’alterità che gli permette, successivamente, di comprendere il cammino. Sia facendo piena esperienza della più grande disperazione o dell’illuminazione più alta, il pellegrino comprende che la luce deve passare necessariamente per le tenebre più fitte. Come dice Bergamo: «L’indifferenza ignaziana è quasi una tecnica d’inchiesta, è la condizione necessaria all’epifania di una verità»[6]. Solamente passando per questi stati l’anima può rileggere la sua esperienza, uscire dall’indifferenza e prendere una decisione. Nell’essere continuamente spodestati dal proprio luogo per far posto ad un altro, così si attua la riforma interiore e della società.
Lo vediamo anche nel celebre episodio avvenuto presso la località de La Storta: Ignazio vive un’esperienza di alterità: non comprende cosa gli aspetti a Roma; ma nel far posto a Cristo, nel diventare suo compagno, la sua volontà è portata alla croce. Lì si trova il “buon piacere divino”.
Ora, all’inizio della seconda settimana degli Esercizi, la preghiera di deliberazione ci dice che l’esercitante è chiamato a imitare il suo Signore nel «sopportare ogni ingiuria e ogni disprezzo e ogni povertà, sia materiale che spirituale»[7]. Similmente troviamo una medesima invocazione nella meditazione sulle due bandiere. Ancora di più, nella Nota alla meditazione sulle tre categorie di persone, Ignazio invita a superare l’indifferenza a favore della richiesta di povertà. Infine, la piena associazione a Cristo si ha nella considerazione sui tre gradi di umiltà. Il terzo, al sommo grado, dice: «voglio e scelgo la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le umiliazioni con Cristo umiliato piuttosto che gli onori; inoltre desidero di più essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che saggio e accorto secondo il giudizio del mondo»[8].
Nella contemplatio ad amorem troviamo la naturale conclusione allo svuotamento di sé per far posto al Signore. Ma siamo nella settimana che contempla la resurrezione di Cristo: «Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo ridono. Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e questo solo mi basta»[9].
Allo stesso modo, se leggiamo alcuni passi del Memoriale di Pierre Favre, riconosciuto come il primo mistico della compagnia di Gesù, troviamo un medesimo riferimento alla croce come luogo dell’associazione a Cristo e alla sua volontà. L’anno 1543 è fecondo di notazioni che valorizzano l’abbandono e la prossimità della croce: «Vedevo che per ottenere la grazia di Dio, nulla valeva di più che trovarsi come abbandonato e così assai vicino allo stato del crocifisso”. “Occorre allora cercare prima la potenza di Cristo crocifisso e poi quella di Cristo glorioso: non viceversa”. “Ma tu vuoi essere deposto dalla croce prima di essere morto. Cristo invece è proprio morto sulla croce. E allora perché anche tu non cominci a voler morire sulla tua?»[10]. Dunque, già in Favre troviamo il superamento dell’indifferenza a favore della croce, sopportando le ingiurie e le pene.
Il XVII secolo è, per eccellenza, il periodo in cui la spiritualità si specializza sull’interiorità.
Attraverso la lettura dei testi di Mino Bergamo, il dramma che si evidenzia nei mistici è nell’esperienza lacerante dell’interiorità fino a credere di essere abbandonati alla disperazione o al diavolo. È la stessa soggettività umana che è frantumata: la volontà umana si abbandona all’essere divino; è espropriata da sé perché possa unirsi al suo Sposo, al punto di vivere in sé la dannazione. Il luogo di riferimento è l’anima, abitata da un abisso di grazia e un abisso di peccato che si oppongono tra loro. L’anima è lo specchio in cui l’essere umano si guarda per entrare in sé stesso e correggersi. Bergamo ci ricorda che «l’introversione conduce alla riforma interiore»[11]. Così come un medico analizza il corpo per curarlo, così lo spirituale si addentra nell’interiorità per riformarla. Una medicina dell’anima che parte dallo studio della sua anatomia, per conoscerne la teoria della sua struttura. Mino Bergamo, a partire dagli scritti di François di Sales, ci conduce nelle regioni complesse della volontà umana, all’interno dei conflitti della sfera razionale.
La suprême pointe de l’esprit ci viene presentata come punto di iscrizione delle virtù teologali, sede dell’unione mistica, la quale avviene attraverso atti interiori in cui l’anima passivamente riceve le grazie e i beni divini. Alla presenza dell’amato sposo, le facoltà dell’anima entrano nel riposo, non c’è più discorso o altra operazione dell’intelletto. L’unica operazione possibile è quella della volontà che è aperta ad un puro ricevere: è un fare che consiste in un patire. Il passaggio epocale che François de Sales testimonia, si inscrive all’interno di un’unione mistica psicologica, non più ontologica dove vi era fusione di essenza tra l’anima e Dio; si passa da una mistica dell’essenza ad una mistica dell’atto passivo. La scienza dei santi del XVII secolo ci racconta la passione per questo amore puro e folle agli occhi del mondo.
Un tema chiave del XVII secolo che prendo come riferimento dalla «Scienza dei santi» di Bergamo è l’anéantissement, l’irreparabile perdita della soggettività che la mistica sperimenta sulla via della sua unione a Dio: l’io si perde in una pratica di continua umiliazione sul modello del sacrificio di Cristo. Mistica di Benedetto da Canfield: l’anima diventa completamente passiva dopo aver conosciuto Dio ed essersi unita a Lui. Nell’annientamento dell’anima si disvela la verità che emerge nella conoscenza autentica di Dio. L’uomo subisce un taglio netto della sua identità e nel suo essere; la conoscenza dell’essenza divina lo spoglia della sua identità . L’anima si unisce al suo sposo che è il centro dell’universo come il Sole: una rivoluzione della spiritualità! Al nulla dell’anima si aggiunge il nulla del peccato che fa sprofondare la creatura in un niente che neanche un sacrificio può riscattare, sebbene l’anima sia chiamata a rassomigliare sempre più a Cristo e a compiere il suo stesso sacrificio.
Ciò che colpisce dell’analisi di Bergamo è la ripresa di testi in cui si evidenzia l’anéantissement come povertà, abbandono dei beni terreni e rifiuto delle ricchezze: «Après avoir tout quitté, j’ai trouvé ma liberté», dice Surin [12]. Bergamo si domanda se questa libertà è la serenità del saggio stoico. Ma il paradosso è che qui il soggetto è perduto, spossessato da sé. Lo stoico ha pienamente possesso della sua anima, anche innanzi al tiranno. Lo stoico ha un’anima «sovrana», il mistico un’anima annientata. In Surin l’anima si perde! È la «totale libertà dall’avere» che si esprime anche nel disappropriarsi dell’anima come bene prezioso. Secondo Bergamo, sembra che Surin dica: «dans le vide qui se creuse dans mon être, Dieu pourra descendre et habiter»[13]. È una Kenosi, un fare spazio all’altro, per far sì che Dio possa prendere dimora nell’anima. In particolare, si passa da una separazione dell’avere ad una separazione dell’essere. Attraverso un’interpretazione della teoria dell’ipostasi in Levinas, «presque un acte de terreur», come egli stesso afferma [14], Bergamo individua una stretta relazione tra essere ed avere, come condizione dell’esistente: «avere» come forma originaria dell’esistenza dell’essere umano. Dunque, per i mistici come Surin, la perdita implica la liberazione dalla schiavitù del soggetto e un consumarsi completo nell’esistenza di Dio, esistente supremo. Al contrario, il prendersi cura è l’espressione della materialità del soggetto, un incatenamento a sé che conduce alla prigionia dell’identità. In definitiva, non è il corpo a deprivare l’essere, ma l’attaccamento a sé, la volontà di esaudire un bisogno, diremmo oggi l’autoreferenzialità. L’abbandono alla provvidenza, nella perdita di sé, è un modo per sfuggire all’incatenamento della cura e affidarsi all’avventura che sempre sorprende fino anche all’inabissarsi della ragione, alla follia. Una sintesi perfetta di questo felice naufragio la troviamo nell’ultima strofa de L’abandon intérieur, pour se disposer à la perfection de l’Amour Divin: «Je ne veux plus qu’imiter la folie / De ce Jésus, qui sur la Croix un jour, / Pour son plaisir, perdit honneur et vie, / Délaissant tout pour sauver son Amour./Ce m’est tout un, que je vive ou je meure, / il me suffit que l’amour me demeure»[15].
L’anima di Surin rispecchia le lacerazioni che abitano il sottosuolo del XVII secolo. Afferma Bergamo: «le monde de Surin est comme fissuré par un séisme, plongé dans la nuit par une éclipse. […]. s’est morcelée l’unité qui harmonisait les sciences les plus diverses»[16]. «Seulement la négation de toute connaissance peut dévoiler celui qui est au-delà de la connaissance ; parce que seulement l’obscurité la plus compète peut manifester ce qui se dérobe inévitablement au regard»[17]. La gerarchia e l’unità di una ragione ordinatrice, sia essa politica o teologica, è scoppiata. La conoscenza mistica dell’inconoscibile, o meglio una via ad essa, si ha per puro dono di grazia e di luce soprannaturale non attraverso un processo, ma nel vuoto dell’umiltà, una sorta di docta ignorantia a cui si giunge nella contemplazione di una grande luce che incendia gli occhi del cuore, fino alla cecità. È un’esperienza straordinaria che va oltre il linguaggio e la discorsività. Appropriarsene sarebbe un tradimento del dono ricevuto, del puro amore che non sottosta alla legge dello scambio.
Dio abita in paesi stranieri, in una regione selvaggia infinita e separata dalla limitatezza del mondo terreno; regione deserta dove la luce dell’amore puro trasfigura oggetti e realtà create. Per giungere in tale luogo esotico si rende necessario spogliarsi della ragione, della stima sociale, della civiltà e rifugiarsi come un folle in Cristo. Come lo юродство: il folle per Cristo nella tradizione spirituale russa. Il rapporto che c’è tra Dio e il santo è al di là del sistema del reciproco scambio; fino a creare una relazione squilibrata tra una giustizia divina che è puro dono e un’esistenza che accetterebbe anche di farsi peccato, di perdere la propria anima fino alla dannazione pur di non essere lontano dalla volontà divina. In luogo di uno scambio, di una ricompensa divina, l’uomo è chiamato ad abbandonare ogni interesse per le cose terrene e rimettersi completamente alla volontà divina per la salute, l’onore, la vita o la malattia, il disonore e la morte.
Bergamo riprende, ne Les Fondements de la vie spirituelle di Surin, i tre gradi dell’amore mistico: «Le troisième niveau, enfin, est atteint lorsque l’âme “a même abandonné entre les mains de Dieu son salut et son éternité”, lorsqu’elle a donc témoigné à celui qu’elle aime, que ce n’est pas même pour obtenir la vie éternelle – le bien plus précieux – quell’elle lui offre sa vénération, et qu’elle a rejeté ainsi la possibilité du dernier circuit d’echange, en manifestant un désintéressement absolu, en élevant son amour à la pure gratuité du don» [18].
Alexandre Piny ne La Clef du pur amour (Lione, 1685) arriva a dire che l’anima che si abbandona a Dio, rinunciando anche alla sicurezza di ottenere la salvezza eterna, vive in essa un abbandono e percepisce di essere sta già condannata, proprio da colui che ama con tutte le forze: vittime del puro amore [19]. La disperazione è una prova divina che verifica la purezza dell’amore dell’anima verso il suo Sposo amato. Bergamo sottolinea come l’anima non agisce per un’accettazione eroica della sofferenza. Ne è completamente disinteressata, anche se trasforma con il tempo la sua indifferenza in piena accettazione del sacrificio di condanna, nella consapevolezza di aver perso il proprio amato. È nell’essere defraudati che si raggiunge il puro amore, in una logica di amore a proprie spese.
D’altra parte l’amato gode dell’amante nella stessa perdita che gli domanda: è la tragedia di un amore assoluto che si dà nell’allontanamento di amante e amato. L’anima del mistico del XVII secolo acconsente liberamente di venire separato dall’amato, nel mistero più grande della propria dannazione e per aumentare il godimento dell’amante. Bergamo scrive che: «il discorso mistico si struttura come l’immagine speculare o l’antimodello del modello propugnato dal discorso etico», nella transvalutazione del sistema dei valori economici del XVII secolo: un discorso antieconomico. Il puro amore disinteressato che non teme pene né ricompensa sarà condannato da Innocenzo XII. Leggiamo la conclusione di Bergamo: «Ce qui disparaissait à jamais de la scène de la spiritualité chrétienne, était le grand rêve mystique d’une vie menée en dehors et au-dessus de la rationalité de l’utile, d’une existence irrécupérablement étrangère à l’ordre imposé par l’idéologie économique. Le XVIIe siècle se terminait ainsi, en bannissant de l’histoire tout ce qui aurait pu compromettre la stabilité de la nouvelle culture. Délivré des inquiétants paradoxes mystiques, l’homme européen pouvait entrer désormais dans l’âge des certitudes»[20].
Infine, desidero rivolgere un ultimo pensiero a Mino Bergamo, contemplando il dipinto «L’ascesa all’Empireo» di Hieronymus Bosch, il quale si trova proprio nella città di Mino, Venezia. Sulla tela si vede l’anima che è accompagnata verso la luce pura e incontra il guardiano della soglia, prima di tuffarsi in Dio. Gli dedico ciò che Lacan scrive nel suo testamento e che Certeau ci riporta nell’articolo “Lacan: un’etica della parola”: «S’il arrive que m’en aille, dites-vous que c’est afin d’être Autre enfin»[21].
Note
[1] François Dosse, Michel de Certeau. Le marcheur blessé, La Découverte, Parigi 2002, p. 600.
[2] La scienza dei santi. Studio sul misticismo del Seicento, Sansoni, Firenze 1984; La science des saints. Le discours mystique au XVIIe siècle en France, Jérôme Millon, Grenoble 1992; L’anatomia dell’anima, Da François de Sales a Fénelon, Il Mulino, Bologna 1991 ; L’anatomie de l’âme. De François de Sales à Fénelon, Jérôme Millon, Grenoble 1994; Vedere anche due edizione di fonti : Autobiografia di Sœur Jeanne des Anges, Marsilio, Venezia 1986; Il trionfo delle umiliazioni, Marsilio, Venezia 1994 (edizione commentata delle lettere de Louise du Néant). In omaggio a Certeau, con Valerio Marchetti, ha pubblicato Asmodée. Du discours mystique, Firenze 1989.
[3] Jacques Le Brun, « Préface », in La science des saints, p. 9.
[4] Mino Bergamo, « La scrittura come modello di vita (Jean-Joseph Surin) », in Rivista del Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica, Université d’Urbino, Documenti di lavoro e pre-pubblicazioni, n. 203/B, 1991, p. 2.
[5] Michel de Certeau, « L’espace du désir » (1973), ripreso in Le Lieu de l’autre. Histoire religieuse et mystique, Parigi, Gallimard – Seuil, 2005, p. 239-248. Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua, a cura di Carlo Ossola, Olschki, Firenze 1989.
[6] Mino Bergamo, « Il problema del discorso mistico. Due sondaggi », in Asmodée. Du discours mystique, Testi riuniti da Mino Bergamo e Valerio Marchetti, Firenze 1989, p. 12.
[7] ES, n. 98.
[8] ES, n. 167. Anche Rahner affermava che per trovare Dio in tutte le cose bisogna andare a trovare Dio nel luogo più isolato. Nella tenebra assoluta! Nella croce di Cristo!
[9] ES, n. 234.
[10] Pierre Favre, Mémorial, ed. Michel de Certeau, Desclée de Brouwer, Parigi 1960, n. 212 p. 279, n. 278 p. 322 ; vedere anche n. 279 p. 323. Traduzione dall’edizione italiana, Memorie Spiriuali, ed. Giuseppe Mellinato, Città Nuova, Roma 1994, n. 212 p. 203, n. 278 p. 243, n. 279 pp. 243s.
[11] Mino Bergamo, L’anatomia dell’anima, Il Mulino, Bologna 1991, p. 26.
[12] Cantiques spirituels de l’amour divin (1664), citato et commentato in La science des saints, p. 30-31.
[13] La science des saints, p. 32.
[14] La science des saints, p. 37.
[15] Surin, citato et commentato in La science des saints, p. 45-46.
[16] La science des saints, p. 79.
[17] La science des saints, p. 86.
[18] La science des saints, p. 223.
[19] Cf. La science des saints, p. 225-234, cita et commenta numerose pagine di Pliny.
[20] La science des saints, p. 266.
[21] Michel de Certeau, Histoire et psychanalyse entre science et fiction, ed. rivista ed aumentata, Paris, Gallimard, Folio Histoire, 2002, p. 240.
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