In ricordo di Paola di Cori

Grazie Paola

Lunedì 6 novembre 2017 Paola Di Cori ci lasciato. Storica, teorica femminista e degli studi di genere, studiosa appassionata e osservatrice arguta delle pratiche contemporanee, Paola non lascia un vuoto ma il progetto di un percorso piano e vitale, ancora da tracciare, in cui i suoi testi e le sue riflessioni ci seguiranno, come una guida.

Abbiamo svolto insieme un cammino decennale, nel gruppo di ricerca Prendere la parola, che coordinava con passione rigore e affetto, e attraverso questo sito, Michel del Certeau in Italia, entrambi frutto della sua intuizione e ancor più del suo desiderio instancabile di costruire, innovare e condividere.

Serbiamo di lei un ricordo che è insieme promessa di futuro: una capacità di progettare affermazione di vita costruita prima ancora che su interessi condivisi, sulla capacità di una collaborazione sincera e generosa, capace di divenire negli anni stima, affetto, amicizia.

Amica e animatrice entusiasta, Paola ha arricchito tutti noi con lo spirito di iniziativa che la ha accompagnata fino alla fine della lotta contro la malattia, da lei trasformata con coraggio in oggetto di ricerca e riflessione intellettuale sul linguaggio e le pratiche della cura, sul corpo, sul silenzio, sulla morte.

Paola ha continuato a lavorare instancabilmente fino agli ultimi giorni, dopo aver curato – già quando era molto malata – un numero della rivista Leussein dedicato alla riflessione sul genere e sull’identità, dopo aver organizzato un ciclo di seminari sulla malattia e la relazione fra medico e paziente, dopo averci consegnato il suo ultimo lavoro su Michel de Certeau, a cui lavorava da anni, e che ha voluto con tutte le sue forze terminare.

Oltre a questa forza interiore ineliminabile, al desiderio di progettare come fuga dal dolore e dalle difficoltà, resta il segno della sua capacità di costruire contatti tra persone diverse senza mai rinnegarne la differenza, della sua perseveranza nel confronto aperto, del suo umorismo cordiale tanto quanto della sua disciplina esigente sul lavoro.

I suoi contributi erano il frutto di un’intensa attività di studio associata a una pratica costante della relazione e del dialogo: con quanti condividevano i suoi percorsi di ricerca, con quelli incontrati per caso, con coloro che la pensavano diversamente. La condivisione e l’ospitalità erano elementi costitutivi della sua attività intellettuale, all’insegna del concetto di caquetoir: il punto di intersezione mai fissato a priori della discussione libera, della comunicazione che può cambiare i pensieri e le cose, giacché il suo esito è costitutivamente aperto e indeterminabile a priori.

Questo patrimonio di dialoghi e di eventi realizzati insieme e ancora più di una pratica della vita è l’eredità che raccogliamo oggi con profonda gratitudine, debitori di un grande contributo dato in gratuità e onestà di spirito. Riportiamo di seguito alcuni testi che evocano lo spirito con cui Paola svolgeva la sua attività di studiosa e ricercatrice, capaci di esprimere i valori che abbiamo potuto condividere insieme a lei, nei momenti di lavoro e di gioia.

Affinché la sua voce sia ancora con noi.

«Archiviare non significa depositare, etichettare e consegnare alla polvere, ma tutto il contrario. Come ha ricordato Derrida nel ’95: “Oggi niente è meno certo, niente meno chiaro della parola ‘archivio’; niente è più torbido e conturbante”. “L’archivio […] non è solo il luogo di stoccaggio e di conservazione di un contenuto archiviabile passato che esisterebbe in ogni modo […]. No, la struttura tecnica dell’archivio archiviante determina anche la struttura del contenuto archiviabile nel suo stesso sorgere e nel suo rapporto con l’avvenire” (Derrida 1995; trad. it. 1996: 25). L’archivio, quindi, non è il depositario di verità inconfutabili, ricerca ingenua di prove chiare e definitive che soddisfino l’ansia di legittimazione o una pretesa di improbabile coerenza. Sebbene l’atto di archiviare esprima un desiderio di chiusura e sistemazione, esso è sempre accompagnato da un altrettanto forte impulso all’interrogazione; non un mero ricettacolo di tracce, quindi, ma punto di incrocio, occasione per rimettere continuamente in discussione quanto vi è raccolto. Ecco quindi che ogni momento dell’archiviazione, ciascuna aggiunta o riapertura, modifica il significato stesso dell’archivio, proponendo non tanto la statica condizione di un insieme di memorie passate da riordinare, bensì un’idea di movimento, di futuro; problemi su cui indagare ulteriormente, cassetto che racchiude segreti da svelare più che documentare realtà indiscusse: “È una questione di avvenire, la domanda dell’avvenire stesso, la domanda di una risposta, di una promessa e di una responsabilità per il domani” (ivi: 47).»

«Come faccio spesso quando scrivo, mi piace ascoltare un po’ di musica. Ogni volta, ogni scritto, qualcosa di diverso. Solitamente, una volta scelto il genere – che può andare da Kid A dei Radiohead a Tito Puente, o un quartetto di Beethoven – gli rimando fedele per tutta la durata della scrittura di quell’articolo o saggio, con ripetuti ascolti dello stesso brano. La musica mi accompagna negli andirivieni e percorsi accidentati della stesura, e sono proprio le caratteristiche ritmiche di quella prescelta ad assecondarmi più e meglio di altre che sono invece servite come sfondo sonoro a pagine scritte in precedenza. Come se la scrittura avesse anche bisogno di una scansione che non ha solo a che fare con le parole e la costruzione di un testo, e che soltanto la musica – nel disporre i suoni nel tempo – può imprimere» (da Asincronie del femminismo. Scritti 1986-2011)

4 commenti
  1. Giuseppe Cerrone
    Giuseppe Cerrone dice:

    Non ho conosciuto Paola. Non sapevo del suo amore per Michel de Certeau.
    Sono un attore di teatro e ho incontrato de Certeau leggendo una sua recensione sul “Diavolo probabilmente”
    di Bresson. Poi sono venuti i saggi di Introvigne sul satanismo e gli scritti relativi ai misteriosi fatti di Loudun.
    Ero a Roma nel novembre 2014, impegnato come regista in un allestimento sul “Lutero” di Osborne.
    Sognavo di incontrarvi ma non c’è stato tempo. All’epoca sapevo della vostra esistenza come gruppo di studio
    ma ignoravo completamente le importanti personalità che lo ispiravano.
    Sto leggendo la monografia di Paola su de Certeau. Ebbene trovo che il capitolo su Bataille sia straordinario.
    Spero di fare la vostra conoscenza quanto prima. Sono di Napoli.

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    • Redazione
      Redazione dice:

      Caro Giuseppe Cerrone, rispondo con grave ritardo alla tua mail. Ti ringrazio di cuore per le tue parole di apprezzamento. Paola è stata un riferimento fondamentale fino alla fine della sua vita per il nostro gruppo che ha continuato con fatica dopo di lei per via di tante ragioni famigliari e lavorative. Ma è sopravvissuto, e ha continuato a lavorare. Il libro di Paola su Certeau è stata una nostra curatela, lavoro di due anni di tante fatiche portare avanti nei tempi che ci rimanevano a disposizione, lavorando a distanza e sostenendo la speranza. Ce l’abbiamo fatta e il testo, per lo studio di Certeau in Italia è un riferimento imprescindibile. Speriamo di incontrarci dopo questo tempo di grave prova. Ho letto che sei attore e desidero incoraggiarti in questo tempo in cui la legge e i provvedimenti vi hanno sfavorito, togliendoci un pezzo di bellezza di cui avevamo proprio bisogno. Che possiate tenere duro perché continueremo ad avere bisogno di voi.
      Un caro saluto, lieto di fare la tua conoscenza.
      Edoardo Prandi

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      • Giuseppe Cerrone
        Giuseppe Cerrone dice:

        Grazie Edoardo per le belle parole. Farò di tutto per vedervi appena la campagna di vaccinazione avrà sortito i suoi effetti. Intanto continuo a leggere Paola e Michel.
        Mi sono appena imbattuto in “Bartleby o la formula” di Deleuze, che verso la fine ha accenti di palingenesi che a Paola non sarebbero dispiaciuti. Abbraccio forte.

        Rispondi
  2. Giuseppe Cerrone
    Giuseppe Cerrone dice:

    Grazie Edoardo per le belle parole. Farò di tutto per vedervi appena la campagna di vaccinazione avrà sortito i suoi effetti. Intanto continuo a leggere Paola e Michel.
    Mi sono appena imbattuto in “Bartleby o la formula” di Deleuze, che verso la fine ha accenti di palingenesi che a Paola non sarebbero dispiaciuti. Abbraccio forte.

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